GREENWASHING. L’AGCM SANZIONA IL GRUPPO GLS

team valletta Diritto Europeo e della Concorrenza, Marco Stillo, Prospettive, Pubblicazioni

In data 21 gennaio 2025, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha inflitto alle società General Logistics Systems B.V., General Logistics Systems Italy S.p.A. e General Logistics Systems Enterprise S.r.l. (congiuntamente “GLS”) una sanzione pari a circa 8 milioni di euro per aver posto in essere pratiche di c.d. “greenwashing[1] consistenti, da un lato, in asserzioni ambientali ambigue utilizzate nel sito web di GLS e nelle comunicazioni trasmesse ai propri clienti e, dall’altro, nell’imposizione dell’adesione al progetto denominato “Climate Protect” e del pagamento del relativo contributo a fronte della possibilità di ottenere un certificato “personalizzato” (non richiesto) attestante l’avvenuta compensazione di emissioni di diossido di carbonio (CO2). Più particolarmente, il progetto “Climate Protect” era stato adottato nell’aprile del 2021 per favorire iniziative di sostenibilità ambientale quali, tra le altre, l’utilizzo di energia “verde” nelle strutture di GLS e di veicoli per le consegne “a zero emissioni”, la realizzazione di edifici secondo elevati standard di sostenibilità nonché la compensazione delle emissioni di CO2 prodotte dal gruppo. Per la realizzazione dell’iniziativa, GLS si era affidata alla Climate Partner GmbH (“Climate Partner”), stipulando un contratto avente ad oggetto l’individuazione e l’implementazione delle azioni e dei progetti necessari per realizzare la compensazione della quantità di CO2 prodotta. Successivamente, il progetto Climate Protect era stato pubblicizzato sul sito internet di GLS, che ne promuoveva l’immagine come un’azienda caratterizzata dall’impegno ambientale e dall’ambizione di raggiungere la neutralità climatica entro il 2045/50. I messaggi pubblicitari presenti su tale sito, tuttavia, presentavano diverse criticità. In primo luogo, nonostante la significativa differenza tra le attività di “compensazione” e di “riduzione”, in virtù della quale solo la seconda attiene al reale impatto ambientale del prodotto o servizio offerto da un operatore economico, GLS aveva creato confusione tra le stesse, di talché i messaggi pubblicitari sulla compensazione erano stati formulati in modo da poter indurre a ritenere che le relative iniziative  fossero in grado di rendere meno inquinanti i servizi di spedizione offerti dal gruppo. In secondo luogo, i claims ivi presenti lasciavano intendere che tutte le strutture utilizzate da GLS fossero alimentate con energia verde, che l’intero parco veicoli fosse a “zero emissioni” e che tutti gli edifici utilizzati dal gruppo fossero realizzati con elevati standard di sostenibilità, senza precisare quali essi fossero. Non sempre, infine, risultava possibile confermare la correttezza di alcune delle dichiarazioni ambientali riportate sul sito. In Italia, inoltre, il progetto era stato organizzato da GLS in modo che solo alcuni clienti di tale gruppo, tra cui microimprese che si avvalgono in modo continuativo dei servizi di spedizione, ne sostenessero i costi. A tale scopo, GLS aveva quantificato un contributo economico a carico di tali clienti, denominato “Climate Protect”, applicato al peso delle spedizioni effettuate da ciascun cliente e che costituisce un costo ulteriore rispetto a quello previsto per il servizio di trasporto, e risulta essere di gran lunga superiore ai costi sopportati dal GLS per compensare le emissioni. L’applicazione di tale costo ulteriore era stata motivata con l’adesione del cliente al progetto e con il rilascio di un certificato di compensazione (non richiesto) relativo alle emissioni di CO2 riconducibili alle spedizioni del cliente medesimo. Di conseguenza, il contributo in questione costituiva a tutti gli effetti un pagamento imposto alla gran parte dei clienti, ivi incluse le microimprese, correlato ad un servizio del tutto disgiunto da quello principale di trasporto merci e non richiesto dagli stessi. Secondo l’AGCM, le condotte poste in essere da GLS sono sottese da una finalità unitaria, di talché esse configurano un’unica pratica commerciale scorretta, caratterizzata da profili di ingannevolezza e di aggressività, in violazione degli articoli 20[2], 21[3], 22[4] e 26, lett. f)[5] del Codice del consumo. Quanto ai messaggi pubblicitari, infatti, GLS non ha utilizzato la dovuta accuratezza nei riferimenti alle distinte attività di riduzione e di compensazione delle emissioni di CO2, e l’utilizzo fuorviante ed ambiguo dei rispettivi termini risulta pregiudizievole in quanto attribuisce al gruppo l’adozione di azioni asseritamente idonee ad incidere direttamente sulla riduzione dell’impatto inquinante dei servizi di trasporto erogati, che come tali appaiono maggiormente apprezzabili dai consumatori. GLS, inoltre, ha utilizzato claims generici ed ambigui, idonei a lasciar intendere il pieno raggiungimento di obiettivi ambientali che, in realtà, erano solo in parte realizzati, fornendo le informazioni sui dati parziali solo in un momento successivo e con dati che, in taluni casi, si sono rivelati non corretti. Di conseguenza, i messaggi pubblicitari e le asserzioni sono risultati non veritieri e/o contenenti informazioni non presentate in modo chiaro, specifico, accurato ed inequivocabile, in modo da trarre in inganno i consumatori e le microimprese su elementi essenziali ai fini dell’assunzione di una decisione di natura commerciale consapevole come quella di scegliere i servizi di spedizione GLS in considerazione dell’impegno ambientale e degli obiettivi di sostenibilità promossi, e di condividerne l’impegno attraverso il pagamento del contributo Climate Protect. Quanto al progetto “Climate Protect”, GLS ha promosso la propria immagine green facendo ricadere gli oneri economici delle iniziative ambientali di cui si è fregiata interamente sui propri clienti e sui propri partner applicando un costo ulteriore dal quale il gruppo in Italia ha ottenuto fondi più che quattro volte superiori ai costi sopportati per la compensazione delle emissioni di CO2. GLS, pertanto, ha costruito la propria immagine di impresa attenta alle responsabilità ambientali non solo ribaltando sui clienti dotati di minore forza contrattuale tutti gli oneri delle pratiche di sostenibilità realizzate, e bensì addirittura traendo profitto dal progetto “Climate Protect”, al punto che le finalità commerciali ad esso connesse possono ritenersi prevalenti rispetto a quelle di sostenibilità ambientale. Il contributo “Climate Protect”, infine, costituisce a tutti gli effetti un costo ulteriore correlato ad un servizio del tutto disgiunto da quello principale di trasporto merci, ossia quello servizio di compensazione e certificazione delle emissioni di CO2, come dimostra il fatto che GLS ha voluto evitare di rimetterne l’applicazione alla volontà dei clienti e ad eventuali trattative con gli stessi. Tutto ciò premesso, pertanto, l’AGCM ha deciso di sanzionare GLS tenendo conto del fatto che la pratica in questione, da un lato, è stata posta in essere in un settore altamente inquinante, ossia quello del trasporto delle merci, nel quale il livello di diligenza per promuovere la propria immagine tramite vanti ambientalistici è particolarmente rigoroso, e, dall’altro, ha evitato all’impresa di sopportare qualsivoglia onere economico legato al programma “Climate Protect” nonché alle iniziative volte a garantirne un’immagine green.

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[1] Per greenwashing si intendono quelle pratiche che consistono nel comunicare al pubblico informazioni false o ingannevoli che diano un’immagine positiva di un’impresa o dei suoi prodotti dal punto di vista dell’impatto ambientale. [2] L’articolo 20 del Codice del consumo, intitolato “Divieto delle pratiche commerciali scorrette”, ai paragrafi 1-2 dispone: “Le pratiche commerciali scorrette sono vietate. Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori…”. [3] L’articolo 21 del Codice del consumo, intitolato “Azioni ingannevoli”, ai paragrafi 1-2 dispone:… È considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:
  1. a) l’esistenza o la natura del prodotto;
  2. b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i vantaggi, i rischi, l’esecuzione, la composizione, gli accessori, l’assistenza post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l’idoneità allo scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l’origine geografica o commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto;
  3. c) la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o simbolo relativi alla sponsorizzazione o all’approvazione dirette o indirette del professionista o del prodotto;
  4. d) il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l’esistenza di uno specifico vantaggio quanto al prezzo;
  5. e) la necessità di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione;
  6. f) la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali l’identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento, l’affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale, commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti;
  7. g) i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di rimborso ai sensi dell’articolo 130 del presente Codice.
È altresì considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti:
  1. a) una qualsivoglia attività di commercializzazione del prodotto che ingenera confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente, ivi compresa la pubblicità comparativa illecita;
  2. b) il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si è impegnato a rispettare, ove si tratti di un impegno fermo e verificabile, e il professionista indichi in una pratica commerciale che è vincolato dal codice…”.
[4] L’articolo 22 del Codice del consumo, intitolato “Omissioni ingannevoli”, ai paragrafi 1-2 dispone:… È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Una pratica commerciale è altresì considerata un’omissione ingannevole quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al comma 1, tenendo conto degli aspetti di cui al detto comma, o non indica l’intento commerciale della pratica stessa qualora questi non risultino già evidente dal contesto nonché quando, nell’uno o nell’altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso…”. [5] L’articolo 26 del Codice del consumo, intitolato: “Pratiche commerciali considerate in ogni caso aggressive”, alla lettera f) dispone: “Sono considerate in ogni caso aggressive le seguenti pratiche commerciali: (…)
  1. f) esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto, salvo quanto previsto dall’articolo 66-sexies, comma 2…”.