In data 20 marzo 2025, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata nelle Cause riunite da C‑728/22 a C‑730/22, Associazione Nazionale Italiana Bingo – Anib e altri contro Ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, sull’interpretazione della Direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori[1], della Direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione[2] nonché degli articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Tali domande erano state presentate nell’ambito di controversie tra, da un lato, due associazioni di categoria che raggruppano imprese esercenti attività di gioco del bingo in Italia nonché alcune di queste ultime[3] e, dall’altro, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) in merito alla validità del c.d. “regime di proroga tecnica”[4]. Questi i fatti. Nelle Cause C‑728/22 e C‑729/22, dovendo far fronte a difficoltà finanziarie, le ricorrenti avevano presentato all’ADM delle domande intese ad ottenere la sospensione immediata del canone mensile dovuto a titolo del regime di proroga tecnica fino al ripristino delle originarie condizioni di equilibrio economico‑finanziario alterate dalla pandemia di coronavirus nonché la sua modifica. L’ADM, tuttavia, aveva respinto tali domande sostenendo di non poter modificare, tramite un provvedimento amministrativo, l’importo del canone in questione, dato che quest’ultimo era fissato a livello legislativo nazionale. Poiché i loro ricorsi dinanzi al Tribunale amministrativo regionale (TAR) per il Lazio erano stati parimenti respinti, le ricorrenti si erano rivolte al Consiglio di Stato (il “giudice del rinvio”) che, alla luce della necessità di interpretare la normativa europea rilevante in materia, aveva deciso di sospendere i procedimenti e di sottoporre alla Corte di Giustizia sei questioni pregiudiziali. Nella Causa C‑730/22, invece, la Coral Srl. (“Coral”), una società che gestisce delle sale per il gioco del bingo in virtù di una concessione, aveva proposto un ricorso dinanzi al TAR Lazio contro un provvedimento adottato nel corso dell’anno 2018 dall’ADM che, in attesa della riattribuzione delle concessioni, aveva fissato il canone mensile dovuto dai concessionari a titolo del regime di proroga tecnica ad un importo pari a circa 7500 euro. Dopo che la Corte Costituzionale aveva dichiarato la conformità della normativa nazionale in questione[5] alla Costituzione, il TAR Lazio aveva integralmente respinto il ricorso, di talché la Coral aveva interposto appello dinanzi al giudice del rinvio, che aveva deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia un’unica questione pregiudiziale. Con la prima questione nella Causa C‑728/22 e nella Causa C‑729/22, il giudice del rinvio chiedeva se la Direttiva 2014/23 nonché gli articoli 49[6] e 56[7] TFUE debbano essere interpretati nel senso che essi sono applicabili ratione temporis a dei contratti di concessione, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b)[8], di detta direttiva, i quali siano stati attribuiti prima dell’entrata in vigore di quest’ultima ma siano stati prorogati da disposizioni legislative che hanno posto a carico dei concessionari interessati, quale contropartita, i) un obbligo di pagare un canone mensile, il cui importo è stato successivamente aumentato, ii) un divieto di trasferimento dei loro locali, e iii) un obbligo di accettare tali proroghe per essere autorizzati a partecipare a qualsiasi futura procedura di riattribuzione di dette concessioni. La Corte ha preliminarmente ricordato che, in caso di modifica di un contratto di concessione, la normativa europea applicabile alla stessa è quella in vigore alla data di tale modifica, tenendo presente che il fatto che la data di conclusione del contratto di concessione iniziale sia antecedente all’entrata in vigore delle norme che disciplinano la materia non determina alcuna conseguenza a tale riguardo[9]. Per contro, sono inapplicabili le disposizioni di una direttiva che prevedono un termine di trasposizione che è scaduto dopo la data suddetta, a meno che la direttiva in questione non sia già stata trasposta nell’ordinamento nazionale alla data di pubblicazione della modifica della concessione[10]. Tutto ciò premesso, la Direttiva 2014/23 deve essere considerata applicabile a qualsiasi modifica di un contratto di concessione effettuata successivamente al 18 aprile 2016. Di conseguenza, poiché le modifiche introdotte dalla Legge n. 205/2017 sono state adottate successivamente a tale data, la direttiva si applica non soltanto all’aumento dell’importo del canone conseguente all’adozione della legge, e bensì anche alla totalità degli elementi del regime di proroga tecnica. Con la questione unica nella Causa C‑730/22, il giudice del rinvio chiedeva se l’articolo 43[11] della Direttiva 2014/23 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che il legislatore nazionale possa prorogare unilateralmente, mediante disposizioni legislative entrate in vigore dopo la data limite per la trasposizione di detta direttiva, la durata di concessioni di servizi e, in tale occasione, quale contropartita, i) aumentare l’importo di un canone fissato forfettariamente e dovuto da tutti i concessionari interessati, indipendentemente dal loro fatturato, ii) mantenere un divieto di trasferimento dei loro locali, e iii) mantenere un obbligo di accettare tali proroghe al fine, per i concessionari suddetti, di essere autorizzati a partecipare a qualsiasi futura procedura di riattribuzione di tali concessioni. Secondo la Corte, una modifica come quella considerata dal giudice del non rientra in nessuna delle ipotesi contemplate dall’articolo 43, paragrafi 1 e 2, della Direttiva 2014/23. L’ipotesi contemplata dall’articolo 43, paragrafo 1, lettera a), della Direttiva 2014/23, infatti, esige che la modifica effettuata abbia luogo in virtù di una clausola prevista nel contratto di concessione. Del pari, le ipotesi contemplate dalle lettere da b) a d) di tale articolo presuppongono che la modifica in questione venga effettuata per una delle ragioni ivi espressamente previste, ciò che non si verifica nel caso concreto. Una modifica avente ad oggetto la proroga della durata di una concessione e, quale contropartita, l’introduzione di un obbligo di versare un canone mensile, il cui importo venga successivamente aumentato, di un divieto di trasferimento dei locali nonché di un obbligo di accettare tali proroghe affinché il concessionario interessato possa essere autorizzato a partecipare a qualsiasi futura procedura di riattribuzione di tali concessioni, inoltre, è certamente sostanziale, e dunque non suscettibile di ricadere sotto l’articolo 43, paragrafo 1, lettera e), della Direttiva 2014/23. La modifica in questione, infine, non pare soddisfare nemmeno i criteri previsti dal paragrafo 2 di tale articolo. Con la seconda questione nella Causa C‑728/22 e nella Causa C‑729/22, il giudice del rinvio chiedeva se gli articoli 5 e 43 della Direttiva 2014/23 debbano essere interpretati nel senso che essi ostano ad un’interpretazione o ad un’applicazione di norme legislative interne, o a prassi applicative fondate su tali norme, tali da privare l’autorità aggiudicatrice del potere di avviare, su domanda di un concessionario, un procedimento amministrativo inteso a modificare le condizioni di esercizio della concessione in parola, qualora eventi imprevisti e imprevedibili, indipendenti dalla volontà delle parti, incidano in modo significativo sul rischio operativo di tale concessione, finché perdurino tali condizioni e per il tempo necessario per eventualmente ripristinare le condizioni originarie di esercizio della concessione stessa. La Corte ha preliminarmente rilevato che la definizione di “concessione di servizi” ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), secondo comma, della Direttiva 2014/23 non può servire quale fondamento per esigere che gli Stati Membri accordino alle autorità aggiudicatrici il potere di avviare, su domanda di un concessionario, un procedimento amministrativo inteso a modificare le condizioni di esercizio di una concessione, qualora degli eventi imprevisti e imprevedibili, indipendenti dalla volontà delle parti, incidano in modo significativo sul rischio operativo di tale concessione. L’articolo 43 della Direttiva 2014/23, inoltre, fa riferimento all’ipotesi di una modifica resa necessaria da circostanze che un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore diligente non potevano prevedere unicamente al fine di precisare che, in un caso del genere, non è necessaria una nuova procedura di attribuzione, senza imporre un obbligo, a carico dell’amministrazione aggiudicatrice, di avviare un procedimento di modifica della concessione. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui norme legislative interne prevedessero che l’amministrazione aggiudicatrice possa essere costretta ad avviare una procedura di modifica della concessione in ragione di eventi imprevedibili e indipendenti dalla volontà delle parti che incidano in modo significativo sul rischio operativo, la Direttiva 2014/23 non osterebbe a che il concessionario interessato possa fondarsi su tali norme per esigere l’avvio di un procedimento del genere, purché la modifica prevista non sia esclusa dalla normativa nazionale che traspone l’articolo 43, paragrafi 1 e 2, di tale Direttiva. Con la terza questione nella Causa C‑728/22 e nella Causa C‑729/22, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la Direttiva 89/665, come modificata dalla Direttiva 2014/23, debba essere interpretata nel senso che essa osta a che una normativa nazionale possa prevedere, quale condizione preliminare per la partecipazione a qualsiasi procedura di riattribuzione di una concessione, l’adesione del concessionario de quo ad un regime di proroga di tale concessione, anche nel caso in cui sia esclusa la possibilità di rinegoziare le condizioni di esercizio di quest’ultima a causa della sopravvenienza di un evento imprevedibile e indipendente dalla volontà delle parti. Secondo la Corte, tuttavia, tali questioni devono essere dichiarate irricevibili in quanto non contengono l’illustrazione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio ad interrogarsi sull’interpretazione o sulla validità di determinate disposizioni del diritto dell’Unione né il collegamento che quest’ultimo stabilisce tra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile nel caso concreto. Tenuto conto della risposta fornita alla prima questione nella Causa C‑728/22 e alla prima questione nella Causa C‑729/22, infine, e dato che le ricorrenti contestano delle modifiche che devono essere valutate alla luce della Direttiva 2014/23, la Corte ha ritenuto non necessario rispondere alle questioni quarta, quinta e sesta nelle Cause C‑728/22 e C‑729/22[12]. Tutto ciò premesso, la Corte ha pertanto statuito che: “La direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, deve essere interpretata nel senso che essa è applicabile ratione temporis a dei contratti di concessione, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), di detta direttiva, i quali siano stati attribuiti prima dell’entrata in vigore della direttiva 2014/23, ma siano stati prorogati da disposizioni legislative che hanno posto a carico dei concessionari interessati, quale contropartita, in primo luogo, un obbligo di pagare un canone mensile, il cui importo è stato successivamente aumentato, in secondo luogo, un divieto di trasferimento dei loro locali e, in terzo luogo, un obbligo di accettare tali proroghe per essere autorizzati a partecipare a qualsiasi futura procedura di riattribuzione di dette concessioni, laddove dette disposizioni legislative siano esse stesse entrate in vigore dopo la data limite di trasposizione della direttiva 2014/23. In tale situazione, gli articoli 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che essi non sono applicabili. L’articolo 43 della direttiva 2014/23, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che il legislatore nazionale possa prorogare unilateralmente, mediante disposizioni legislative entrate in vigore dopo la data limite per la trasposizione della direttiva 2014/23, la durata di concessioni di servizi e, in tale occasione, quale contropartita, in primo luogo, aumentare l’importo di un canone fissato forfettariamente e dovuto da tutti i concessionari interessati, indipendentemente dal loro fatturato, in secondo luogo, mantenere un divieto di trasferimento dei loro locali e, in terzo luogo, mantenere un obbligo di accettare tali proroghe al fine, per i concessionari suddetti, di essere autorizzati a partecipare a qualsiasi futura procedura di riattribuzione di tali concessioni, laddove tali modifiche, considerate congiuntamente, non soddisfino i presupposti per l’applicazione dell’articolo 43, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2014/23. Gli articoli 5 e 43 della direttiva 2014/23, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano ad un’interpretazione o ad un’applicazione di norme legislative interne, o a prassi applicative fondate su tali norme, tali da privare l’autorità aggiudicatrice del potere di avviare, su domanda di un concessionario, un procedimento amministrativo inteso a modificare le condizioni di esercizio della concessione in parola, qualora eventi imprevedibili e indipendenti dalla volontà delle parti incidano in modo significativo sul rischio operativo di tale concessione, finché perdurino tali condizioni e per il tempo necessario per eventualmente ripristinare le condizioni originarie di esercizio della concessione stessa”.
- b) «concessione di servizi» si intende un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto in virtù del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori di cui alla lettera a) ad uno o più operatori economici, ove il corrispettivo consista unicamente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo…”.
- a) se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi, o opzioni. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche o opzioni, nonché le condizioni alle quali possono essere impiegate. Esse non apportano modifiche o opzioni che altererebbero la natura generale della concessione;
- b) per lavori o servizi supplementari da parte del concessionario originario che si sono resi necessari e non erano inclusi nella concessione iniziale, ove un cambiamento di concessionario:
- i) risulti impraticabile per motivi economici o tecnici quali il rispetto dei requisiti di intercambiabilità o interoperatività tra apparecchiature, servizi o impianti esistenti forniti nell’ambito della concessione iniziale; e
- ii) comporti per l’amministrazione aggiudicatrice o all’ente aggiudicatore notevoli disguidi o una consistente duplicazione dei costi.
- c) ove siano soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
- i) la necessità di modifica è determinata da circostanze che un’amministrazione aggiudicatrice o un ente aggiudicatore diligente non ha potuto prevedere;
- ii) la modifica non altera la natura generale della concessione; iii) nel caso di concessioni aggiudicate dall’amministrazione aggiudicatrice allo scopo di svolgere un’attività diversa da quelle di cui all’allegato II, l’eventuale aumento di valore non è superiore al 50 % del valore della concessione iniziale. In caso di più modifiche successive, tale limitazione si applica al valore di ciascuna modifica. Tali modifiche successive non sono intese ad aggirare la presente direttiva;
- d) se un nuovo concessionario sostituisce quello a cui l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore avevano inizialmente aggiudicato la concessione a causa di una delle seguenti circostanze:
- i) una clausola o opzione di revisione inequivocabile in conformità della lettera a);
- ii) al concessionario iniziale succede, in via universale o parziale, a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni, fusioni, acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato ad eludere l’applicazione della presente direttiva; oppure
- e) se le modifiche, a prescindere dal loro valore, non sono sostanziali ai sensi del paragrafo 4.
- i) la soglia fissata all’articolo 8; e
- ii) il 10 % del valore della concessione iniziale.