IL MONDO DEL FASHION E LE RECENTI TENDENZE DI ENFORCEMENT ANTITRUST EUROPEO E NAZIONALE

team valletta Diritto Europeo e della Concorrenza, Marco Stillo, Moda e Lusso, Prospettive, Pubblicazioni, Roberto A. Jacchia

Negli ultimi anni, il settore della moda è finito sotto la lente di ingrandimento della Commissione europea, che ha avviato una serie di interventi in parte atipici rispetto alle tradizionali tematiche antitrust, fino ad affrontare questioni relative, tra le altre, al c.d. “greenwashing[1] e alla trasparenza della filiera produttiva.

L’interesse della Commissione trova la sua ratio nella necessità di garantire un mercato sostenibile e trasparente, in cui i consumatori possano compiere scelte informate e le imprese competano in modo leale sulla base dei meriti, senza falsare la concorrenza attraverso messaggi ingannevoli o pratiche escludenti. Con le proprie decisioni recenti, la Commissione ha spostato il bersaglio dell’enforcement, dal mero controllo delle condotte economiche, alla verifica dell’autenticità dei valori comunicati ai consumatori e al mercato, focalizzandosi non solo sul modo in cui il settore vende, e bensì anche su cosa promette e come costruisce la propria reputazione, soprattutto in materia di sostenibilità e di responsabilità.

Il 14 ottobre 2025 la Commissione ha inflitto un’ammenda pari a 157 milioni di euro a Gucci, Chloé Loewe per aver limitato la possibilità dei rivenditori indipendenti online e offline di fissare i propri prezzi al dettaglio per quasi tutta la gamma dei rispettivi prodotti, interferendo con le strategie commerciali dei rivenditori ed imponendo loro restrizioni non consentite, quali, tra le altre, l’obbligo di non discostarsi dai prezzi di vendita al dettaglio solo nominalmente raccomandati, dai tassi di sconto massimi nonché dai periodi specifici per i saldi. Gucci, Chloé e Loewe si erano, infatti, adoperate affinché i dettaglianti applicassero gli stessi prezzi e le stesse condizioni di vendita applicati nei loro canali di vendita diretta, monitorando i prezzi offerti in caso di deviazione. Tali pratiche avevano privato i rivenditori dell’indipendenza in materia di fissazione dei prezzi e ridotto la concorrenza tra di loro, laddove le tre imprese proprietarie dei brand miravano a proteggere le proprie vendite dirette dalla concorrenza dei rivenditori.

Nel 2024 la Commissione ha inflitto un’ammenda pari a circa 5.7 milioni di euro a Pierre Cardin e Ahlers per aver stipulato, per più di un decennio, accordi restrittivi coordinandosi per limitare la capacità degli altri licenziatari di quest’ultima e dei loro clienti di vendere prodotti a marchio “Pierre Cardin” sia offline che online. Sono state così ostacolate le importazioni parallele[2] nell’Unione nonché le vendite di tali prodotti a specifici gruppi di clienti. In tal modo, Ahlers avrebbe goduto di una protezione territoriale assoluta negli Stati coperti dai suoi accordi di licenza con Pierre Cardin nello Spazio Economico Europeo (SEE), violando così l’articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

Anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) si è di recente focalizzata sulle pratiche commerciali scorrette e sulla non veridicità della comunicazione aziendale nel settore della moda, al fine di garantire che le imprese, da un lato, non ingannino i consumatori vantando vantaggi ambientali o sociali non comprovati e, dall’altro, non incidano sul funzionamento plurale del mercato e sull’innovazione digitale limitando la libertà dei rivenditori nella determinazione dei prezzi o nell’accesso ai marketplace.

Più particolarmente, in data 4 agosto 2025 l’AGCM ha inflitto un’ammenda di 1 milione di euro a Shein per l’utilizzo di messaggi e asserzioni ambientali ingannevoli e omissivi nella promozione e vendita dei suoi prodotti di abbigliamento. Nello specifico, si trattava di dichiarazioni relative alla progettazione di un sistema circolare e sulla riciclabilità dei prodotti, poi risultate false o quanto meno confuse, enfatizzando l’uso di fibre “green” senza indicare quali sarebbero i reali benefici ambientali dei prodotti che le contengono durante il loro intero ciclo di vita, né specificare che tali linee di prodotti sono ancora marginali rispetto al totale dei prodotti a marchio Shein. Queste affermazioni, inoltre, potrebbero indurre i consumatori a ritenere erroneamente non solo che la collezione “evoluSHEIN by Design” sia realizzata unicamente con materiali ecosostenibili, e bensì anche che i relativi prodotti siano totalmente riciclabili.

In data 1° agosto 2025 l’AGCM ha irrogato alle società Giorgio Armani S.p.A. e G.A. Operations S.p.A. una sanzione di 3,5 milioni di euro per aver reso dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale non veritiere e presentate in modo non chiaro, specifico, accurato e inequivocabile. Le due società, infatti, avrebbero, da un lato, enfatizzato la loro attenzione alla sostenibilità rendendola uno strumento di marketing utilizzato sistematicamente per rispondere alle crescenti aspettative dei consumatori ma, dall’altro, esternalizzato larga parte della propria produzione di borse e accessori in pelle a fornitori che, a loro volta, si sono avvalsi di subfornitori, presso i quali, in diversi casi, erano stati rimossi i dispositivi di sicurezza dai macchinari per aumentarne la capacità produttiva, ponendo così a rischio la sicurezza e la salute dei lavoratori.

Il 26 marzo 2025, inoltre, l’AGCM ha avviato un’istruttoria nei confronti della Morellato S.p.A. per accertare una presunta violazione dell’articolo 101 TFUE consistente in condizioni commerciali che vietano ai distributori autorizzati la vendita dei prodotti del fornitore sui marketplace e sulle piattaforme terze. La Morellato, infatti, avrebbe stipulato accordi di distribuzione selettiva in cui si vieta esplicitamente agli esercenti l’utilizzo dei marketplace, riservandosi l’utilizzo delle piattaforme digitali di vendita e ostacolando così per i propri distributori l’uso efficace di internet nella vendita dei prodotti a determinati clienti o in determinati territori.

In precedenza, nel 2023 l’AGCM aveva comminato un’ammenda pari a circa 5 milioni euro alla società Yoox Net-a-Porter Group S.p.A. per aver, da un lato, predisposto una specifica policy aziendale interna che prevedeva, senza informare i consumatori, l’inibizione della possibilità di effettuare ulteriori acquisti nel caso di superamento di determinate soglie di resi, limitando così il diritto di recesso e, dall’altro, indotto i consumatori ad aderire alle proprie offerte online sulla base della prospettazione di prezzi e di sconti ingannevoli.

Nel 2022, invece, l’AGCM aveva irrogato alla Vinted una sanzione pari a 1,5 milioni di euro per aver promosso le attività della propria piattaforma di compravendita diffondendo informazioni ingannevoli in merito ai reali costi delle transazioni e veicolando, attraverso una pluralità di mezzi, claim enfaticamente incentrati sulla gratuità delle operazioni di compravendita e sull’assenza di commissioni. Vinted, inoltre, non aveva indicato sulla propria homepage in modo chiaro e completo, sin dall’inizio del processo di acquisto, il prezzo effettivo dell’articolo reclamizzato, l’esistenza e l’entità della commissione richiesta ai clienti per ogni acquisto effettuato sulla piattaforma e le spese di spedizione.

Nel 2020, infine, l’AGCM aveva avviato un’istruttoria nei confronti del Gruppo Benetton per accertare un abuso di dipendenza economica riguardo a due contratti di franchising stipulati con un rivenditore indipendente di prodotti a marchio Benetton. La Benetton era sospettata di aver imposto a tale rivenditore di mantenere una struttura di vendita e un’organizzazione commerciale disegnata sulle sue esigenze fino a ostacolarne, se non impedirne, la sua eventuale riconversione. Nello specifico, sotto l’indagine dell’AGCM era finito un possibile uso fortemente discrezionale, da parte di Benetton, di alcune clausole contrattuali che le avrebbero consentito di incidere su scelte strategiche del rivenditore quali, tra le altre, la definizione delle proposte e/o degli ordini di acquisto, condizionandone l’attività economica in maniera significativa. Il procedimento si era concluso nel 2023 con l’accettazione degli impegni proposti dalla Benetton, che si era offerta, da un lato, di modificare il contratto di franchising limitando il proprio diritto di risolverlo per giusta causa a determinate circostanze e, dall’altro, di cancellare dall’accordo le disposizioni che secondo l’AGCM avrebbero potuto essere interpretate come un obbligo di acquisto minimo per l’affiliato.

In una prospettiva più ampia, questi orientamenti recenti nelle scelte di enforcement – necessariamente selettive, in vista della limitatezza delle risorse istruttorie e della necessità di conciliare le priorità – della Commissione e delle ANC costituiscono uno degli indicatori della mutazione strutturale che è in corso nelle politiche di concorrenza, e che si manifesta su molteplici direttrici.

Accanto ai nuovi abusi di dominanza posti in essere nell’universo digitale mediante strumenti algoritmici e di self-preferencing, alla sempre più marcata applicazione del principio di prevalenza della sostanza sulla forma in materia di intese, all’estensione dell’enforcement antitrust agli – un tempo intoccabili – mercati del lavoro, al ruolo crescente dell’innovazione come variabile concorrenziale a sé stante, alla progressiva destrutturazione del controllo delle concentrazioni con l’introduzione di forti elementi di discrezionalità e di imprevedibilità e all’utilizzo oramai frequente della legislazione in materia di FDI (foreign direct investments) per promuovere nei fatti la nascita di pochi “national champions” globali, riacquista centralità il ruolo del consumatore. Con la messa a regime nella maggior parte del SEE di una reale capacità di indagine delle ANC e di un corpus decisionale e giurisprudenziale, in larga misura uniforme, in materia di pratiche commerciali scorrette e di pubblicità ingannevole, si rafforza un quadro di riferimento delle dinamiche concorrenziali che, al di là delle ricostruzioni della teoria economica, guarda in effetti al consumatore, come reale beneficiario di ultima istanza del diritto antitrust.


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[1] Per greenwashing si intendono quelle pratiche che consistono nel comunicare al pubblico informazioni false o ingannevoli che diano un’immagine positiva di un’impresa o dei suoi prodotti dal punto di vista dell’impatto ambientale.

[2] Per “importazione parallela” si intende una situazione in cui dei prodotti sono importati da uno Stato Membro ad un altro utilizzando canali differenti dal network di distribuzione ufficiale stabilito dal produttore o licenziante.