A partire dal febbraio 2025, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha intrapreso azioni senza precedenti nei confronti di grandi studi legali e avvocati americani che in passato si erano schierati, direttamente o indirettamente, su posizioni politiche opposte alla sua amministrazione, limitando la loro capacità di accedere agli edifici governativi e ad informazioni riservate, escludendoli dalle commesse pubbliche, annullando i contratti governativi in corso ed escludendo le imprese che si avvalgono delle loro prestazioni dall’ ottenimento di contratti federali.
Più particolarmente, il Presidente Trump ha firmato memoranda presidenziali[1] e ordini esecutivi[2] che prendevano di mira gli avvocati in generale e alcuni studi legali nello specifico.
Il primo memorandum[3] era stato emesso in data 25 febbraio 2025 al fine, da un lato, di sospendere i nulla osta di sicurezza per tutti i membri dello studio Covington & Burling LLP che avevano assistito l’ex consigliere speciale Jack Smith[4] durante il suo mandato e, dall’altro, di ordinare alle agenzie federali di terminare qualsiasi impegno con lo studio e di rivedere tutti i contratti governativi in corso. In secondo luogo, in data 6 marzo 2025 Trump aveva firmato l’ordine esecutivo numero 14230[5], che sospendeva i nulla osta di sicurezza per i dipendenti dello studio Perkins Coie LLP, limitava il loro accesso agli edifici federali, ordinava alle agenzie di rivedere e potenzialmente terminare i contratti ancora in essere e ordinava al governo di non assumerne gli avvocati, come rappresaglia alla precedente associazione dello studio con Hillary Clinton nella sua campagna presidenziale del 2016 nonché al suo coinvolgimento nel commissionare la ricerca che aveva portato al c.d. “dossier Steele”[6]. In terzo luogo, in data 14 marzo 2025 lo studio Paul Weiss era stato oggetto dell’ordine esecutivo numero 14237[7] a causa della sua precedente associazione con l’avvocato Mark Pomerantz, che aveva contribuito a perseguire Trump per aver falsificato dei documenti aziendali, nonché per il suo presunto uso delle politiche di diversità, equità e inclusione (diversity, equity, and inclusion policies, DEI) per discriminare i suoi dipendenti. In quarto luogo, tra il 21 e il 22 marzo 2025 Trump aveva emanato dei memoranda presidenziali che, da un lato, revocavano le autorizzazioni e l’accesso a 14 individui, tra cui diversi avvocati[8], e, dall’altro, prendevano di mira avvocati e studi legali che avevano intentato cause ritenute frivole e vessatorie nei confronti della sua amministrazione, tra cui l’Elias Law Group LLP[9].
Trump, infine, aveva emesso altri ordini che riguardavano, rispettivamente, gli studi Jenner & Block[10], WilmerHale[11] e Susman Godfrey[12]. Oltre agli ordini esecutivi e ai memoranda presidenziali che si rivolgevano a studi legali specifici, la Commissione per le pari opportunità di lavoro (Equal Employment Opportunity Commission, EEOC)[13] aveva inviato lettere a venti studi legali[14] chiedendo informazioni sulle loro politiche occupazionali ed informandoli di essere oggetto di indagini in relazione alle loro pratiche in materia di DEI. In data 28 aprile 2025, Trump aveva emesso l’ordine esecutivo numero 14288[15], chiedendo all’Attorney General di creare un meccanismo per fornire risorse ai funzionari delle forze dell’ordine che avevano ingiustamente sostenuto spese legali nell’esercizio delle loro funzioni, compreso il ricorso all’assistenza pro bono.
Gli studi hanno risposto in vari modi alle azioni ostili dell’amministrazione Trump.
Alcuni hanno citato in giudizio il Governo, sostenendo che gli ordini esecutivi, oltre a minare il diritto dei clienti a nominare un difensore di loro libera scelta, presentano inedite implicazioni a carico della professione legale, oltre ad essere stati emanati come ritorsione per il fatto di aver rappresentato clienti non graditi all’amministrazione Trump.
Perkins Coie è stato il primo studio ad intentare una causa, sostenuto da un amicus brief[16] firmato da oltre 500 altri studi, ad esito della quale, in data 12 marzo 2025, il giudice Beryl Howell della Corte distrettuale di Columbia ha temporaneamente sospeso l’ordine numero 14230 nella parte in cui proibiva ai suoi avvocati di accedere agli edifici governativi, in quanto ciò costituiva una violazione del Primo Emendamento[17], e poi, in data 2 maggio 2005, lo ha sospeso definitivamente, ritenendolo un attacco senza precedenti al sistema legale e alla Costituzione americana.
Jenner & Block è stato il secondo studio ad andare in giudizio, ad esito del quale, in data 23 maggio 2025, il giudice John D. Bates della Corte distrettuale di Columbia ha stabilito che l’ordine esecutivo che riguardava tale studio era incostituzionale in quanto inteso ad ostacolare l’assistenza legale ai clienti invisi all’amministrazione.
Analogamente, in data 28 marzo 2025 WilmerHale ha impugnato l’ordine esecutivo che lo riguardava in una causa che si è conclusa il 27 maggio successivo, con la decisione con cui il giudice Richard Leon della Corte distrettuale di Columbia lo aveva dichiarato incostituzionale.
Del pari, anche lo studio Susman Godfrey ha citato l’amministrazione Trump in giudizio, nel corso del quale il giudice distrettuale Loren AliKhan della Corte distrettuale di Columbia ha concesso un ordine restrittivo temporaneo. In data 15 aprile 2025, infine, tre studenti di giurisprudenza hanno intentato una causa contro l’EEOC, sostenendo che l’ente aveva ecceduto i propri poteri richiedendo informazioni sulle pratiche occupazionali degli studi legali e che la divulgazione delle relative informazioni costituiva una violazione della normativa in materia di privacy.
Nove grandi studi[18], invece, hanno stretto accordi con l’amministrazione Trump al fine di evitare di essere presi di mira dagli ordini esecutivi, accettando così, da un lato, di fornire lavoro pro bono per un valore pari a circa un miliardo di dollari alle iniziative sostenute dal Governo e, dall’altro, di eliminare le pratiche interne di DEI invise all’amministrazione e non negare assistenza legale a gruppi politicamente emarginati potenzialmente controversi e a funzionari governativi.
Oltre a creare un pericoloso precedente di interferenza politica nella professione legale, questi accordi sono stati oggetto di aspra critica da parte degli attori del mondo legale e dell’opinione pubblica, sollevando diverse preoccupazioni sia a livello legale che etico. In primo luogo, l’accordo di uno studio legale di primissima fascia di fornire milioni di dollari in servizi pro bono, in cambio della revoca o della sospensione di un ordine esecutivo, potrebbe essere considerato un’estorsione che viola il c.d. “Hobbs Act”[19], una normativa federale che vieta la sottrazione di proprietà attraverso la minaccia di violenza, l’uso di un potere per ottenere denaro o proprietà, o la corruzione. L’amministrazione Trump, quindi, potrebbe aver estorto l’erogazione di servizi senza corrispettivo nella speranza che il Governo non emettesse un ordine esecutivo nei confronti del prestatore. In secondo luogo, offrendo servizi legali gratuiti a sostegno di determinate cause favorevoli all’amministrazione in cambio della promessa di revocare o non emettere un ordine esecutivo penalizzante, gli studi legali che si sono così accordati potrebbero incorrere in responsabilità penale per corruzione ai sensi del United States Code, USC[20]. In terzo luogo, gli studi che hanno scelto di accordarsi con l’amministrazione per evitare misure punitive potrebbero trovarsi a fronteggiare gravi problemi di conflitto di interessi secondo le regole di condotta professionali dell’American Bar Association[21]. Uno studio che si impegna a sottoscrivere le politiche dell’amministrazione, tipicamente nell’assunzione e nei percorsi di carriera dei legali, e a fornire anni di servizi pro bono alle cause favorevoli a quest’ultima, infatti, potrebbe creare un rischio significativo di limitare la capacità del difensore di rappresentare adeguatamente un cliente, in quanto non solo si sarebbe impegnato ad allinearsi agli interessi del Governo, e bensì opererebbe sotto costante pressione per evitare di inimicarsi l’amministrazione stessa[22].
Gli studi che hanno scelto di stringere accordi con l’amministrazione Trump, infine, hanno dovuto affrontare l’insoddisfazione dei dipendenti e le reazioni dell’opinione pubblica, con almeno undici grandissimi clienti[23] che risultano avere spostato le loro commesse legali verso gli studi che non si sono accordati. Più in generale, sembra esservi un diffuso consenso nel senso che gli ordini esecutivi dell’amministrazione Trump rappresentano una grave minaccia allo Stato di diritto, in quanto, con un utilizzo asimmetrico e sviato del potere, rendono enormemente più complesso opporsi legittimamente alle politiche del Governo.
Per timore di diventare il prossimo bersaglio di un ordine esecutivo, il mondo legale potrebbe rifiutarsi di rappresentare organizzazioni e interessi che cercano di portare alla luce, e legittimamente contrastare, eventuali profili di illegittimità e di responsabilità. Punendo gli studi legali per aver collaborato con i suoi avversari politici, inoltre, l’amministrazione crea un effetto dissuasivo (c.d. “chilling effect”) sull’intera professione, prendendo di mira condotte passate, e così minando il giusto processo, con misure ex post facto che criminalizzano condotte lecite nel tempo in cui sono vennero compiute, altresì in violazione del principio fondamentale del nulla poena sine lege. È difficile non pensare che, se una situazione simile si fosse verificata in qualsiasi paese diverso dagli Stati Uniti, percepito dalla coscienza collettiva come patria indiscussa della democrazia e delle libertà, si sarebbero levate giustificatissime critiche e segnali di allarme[24]. La centralità geopolitica, nel bene e nel male, degli Stati Uniti ha inevitabilmente attirato sulla situazione l’attenzione della comunità legale internazionale, con iniziative specifiche di diversi ordini professionali europei.
L’Ordine tedesco ha ricordato che le norme di deontologia forense (Bundesrechtsanwaltsordnung, BRAO)[25] impongono agli avvocati di non assumere impegni che mettano a rischio la loro indipendenza professionale, soprattutto dal Governo. È incompatibile con la professione legale, infatti, l’eventuale percezione da parte dei fruitori, che l’indipendenza della professione sia compromessa da legami con i pubblici poteri. Tuttavia, si è anche osservato che la modifica in peius o l’abolizione delle politiche in materia di DEI non dovrebbe violare l’obbligo di indipendenza, in quanto la normativa tedesca non impone alla professione legale di promuovere queste ultime al di là dei requisiti previsti dalla legislazione generale sulla parità di trattamento. Per contro, la rinuncia alle misure in materia di DEI non potrebbe essere considerata una violazione di doveri professionali anche se non avviene per iniziativa propria dell’avvocato e bensì a causa di pressioni politiche[26].
Analogamente, l’Ordine dei Paesi Bassi ha dichiarato che gli avvocati devono essere in grado di decidere da soli, senza interferenze da parte del Governo o di terzi, e in conformità alle normative applicabili, come esercitare la propria professione. Nello specifico, ogni avvocato deve esercitare la professione nel rispetto dei valori fondamentali quali l’indipendenza, la lealtà verso il cliente, la competenza, l’integrità e la riservatezza[27]. L’avvocato ha l’obbligo di rispettare questi valori sia nella pratica quotidiana che nell’organizzazione del proprio lavoro, e non potrebbe pertanto fare promesse, rilasciare dichiarazioni o stipulare accordi che ne compromettano o minaccino di comprometterne l’indipendenza. Ciò vale indipendentemente dal fatto che tali dichiarazioni riguardino i clienti di cui l’avvocato si occupa, la struttura del proprio studio o il modo in cui vengono gestiti i casi (comprese, ad esempio, le dichiarazioni relative alle politiche di DEI)[28].
Sebbene non si sia ancora pronunciato sulla questione, è verosimile che anche il Consiglio Nazionale Forense (CNF) si schieri in posizione critica nei riguardi degli accordi imposti negli Stati Uniti dall’amministrazione Trump, sulla scorta della considerazione di come l’avvocato debba, da un lato, astenersi dal prestare attività professionale quando questa possa determinare un conflitto con gli interessi della parte assistita e del cliente e, dall’altro, conservare la propria indipendenza e difendere la propria libertà da pressioni o condizionamenti di ogni genere, anche correlati a interessi riguardanti la propria sfera personale[29].
Più in generale, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha più volte statuito che la difesa delle parti in causa comporta, da un lato, la possibilità per chiunque di rivolgersi, senza alcun vincolo, ad un avvocato la cui professione comprende la prestazione di consulenza legale indipendente a tutti coloro che ne hanno bisogno e, dall’altro, il correlativo dovere dell’avvocato di agire in buona fede nei confronti del proprio cliente[30], che difficilmente potrebbe essere garantito da chi si sottomette ad un governo attraverso un accordo, soprattutto se non pubblico e quindi non noto al cliente.
E’ appena il caso di soggiungere che le criticità etico-deontologiche a cui ci si riferisce sarebbero destinate a manifestarsi con particolare evidenza con riguardo agli avvocati abilitati in uno Stato Membro dell’Unione Europea, e perciò stesso assoggettati alla legge e alla deontologia nazionale, che al tempo stesso sono soci o collaboratori (quale che ne sia la forma giuridica) operanti nella filiale europea di un grande studio americano che ha stipulato accordi del tipo che si paventa con l’amministrazione Trump. Si fatica a vedere come questa, per così dire, “doppia lealtà” potrebbe coesistere.